Anagni - Brani di storia sotto
l’albero di Natale: due squisiti dolci anagnini, racconta Nello Di Giulio
I piatti e i dolci tipici che amiamo scoprire durante i nostri viaggi, oltre a deliziare il nostro palato, raccontano di storie e tradizioni altrimenti dimenticate. Nel salire di profumi e sapori si rinnovano valori sociali, culturali e ambientali a volte di vera sorpresa.
Raccontiamo, allora, di due squisiti dolci anagnini che,
sin dall’età medievale, hanno arricchito le tavole natalizie delle famiglie
benestanti e, gradualmente, anche di quelle più popolari: il pampepato
e la copëta.
Il nostro amato
panpepato - a base di noci, mandorle, nocciole e uva passa, tutto
ben amalgamato con sufficiente farina e mosto cotto - ha una storia tutta
propria, molto diversa rispetto all’assimilato dolce delle regioni umbro e tosco
– romagnola che, con saggezza, ne hanno assunto marchio I.G.P.
In Romagna, come in buona parte della Toscana, il panpepato nasce come pane arricchito mentre quello umbro, pur confondendosi con il nostro negli ingredienti di base, si differenzia sostanzialmente nella forma e nel suo riferimento sociale.
Il panpepato anagnino, o
anche pampato, è unico nella sua forma caratteristica a montagnola che
sembra voler quasi richiamare la tiara del papa. Esso s’impastava soprattutto
nei conventi per le tavole dei signori, spesso prelati, proprietari terrieri,
uomini degli apparati e gonfalonieri. In alcune famiglie, che ne avevano di
proprio, non di rado si usava come regalia per le accampate conoscenze di
qualche casato più benestante. E così, la gustosa montagnola di mosto cotto e
frutta secca diveniva tanto testimonianza di rispetto personale quanto anche di
sudditanza a seconda delle circostanze.
Solo nel graduale miglioramento delle
condizioni economico e sociali il panpepato diventa il dolce natalizio di
tradizione nelle famiglie anagnine anche se, notoriamente e per molti anni
ancora, in tanti rimarranno a festeggiare il Natale principalmente con patate
alla ruzza, castagne al fuoco e fichi secchi.
Un po' meno
nota la storia della copëta, che ho visto riproporre di recente da un
amico pasticcere, che vanta citazione eccelsa nella Storia di Anagni. Ingredienti
di base erano frutta secca tritata e miele, ancorché essa si possa ancora
trovare in molteplici varianti soprattutto nel Meridione d'Italia. Si
tratta, in sostanza, di piccole barrette di leccornia servite su foglie di
alloro un tempo conosciute con il nome di copëta, copèta, cupete
e similari. Per lo più tutte denominazioni con radice latina "cuppedia"
(ghiottoneria) o di etimologia araba "qubbayta", da cui l’immancabile
versione siciliana di "cubbaita".
Tornando all’eccelsa citazione negli
Statuti anagnini, ricordiamo come nel lontano 1567 il Governatore della città fu
a deliberare la spesa di ben due giulii "ad honorem Omnipotentis
Domini Nostri Jesu Christi" nel donare al Podestà "gallinas
duas, unam scatulam ut dicitur de cupeta".
Nel tempo a seguire, lo sfizioso
dolce veniva preparato soprattutto dalle clarisse di Santa Chiara per le più importanti
tavole natalizie ma, ancor oggi, esso si può gustare al termine di una vera e
propria caccia al tesoro tra gli chef pasticceri della nostra città
di Anagni.
A questo
punto, non resta che augurare a tutti Voi buon dolce di tradizione e Buon
Natale.
Nello Di Giulio
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